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Pallavolo Turchia – La bolla dorata del volley: crescita, record e fragilità

(Laerte Salvini per iVolleymagazine.it) Negli ultimi cinque anni la Turchia è diventata il nuovo epicentro mondiale della pallavolo. Se il calcio rimane lo sport più seguito, è il volley – soprattutto quello femminile – a rappresentare oggi la vetrina più brillante del Paese. La Sultanlar Ligi non è più solo un campionato competitivo, ma la Lega che contende all’Italia il primato assoluto, capace di attrarre le stelle più luminose e di monopolizzare le finali europee.

Dietro la crescita scintillante, però, si cela un modello fragile, simile a quello del calcio turco: spese fuori scala, sostegno statale diretto e indiretto, sponsorizzazioni garantite da aziende pubbliche o semi-pubbliche. L’ecosistema vale oggi circa 130 milioni di euro, di cui quasi la metà concentrata tra VakıfBank, Eczacıbaşı e Fenerbahçe. I salari raccontano la rivoluzione: Paola Egonu al VakıfBank toccò il milione netto, Tijana Bošković guadagna oltre 1,2 milioni l’anno all’Eczacıbaşı, mentre nel 2025 Alessia Orro ha firmato con il Fenerbahçe un biennale da 600.000 € netti a stagione, record assoluto per una palleggiatrice.

Il paradosso è evidente: pochi club gestiscono budget milionari, mentre una decina di società sopravvive a fatica. Il meccanismo del contributo federale del 15% amplifica le disuguaglianze: se il Fenerbahçe (che nei giorni scorsi ha concluso un accordo con la Consolini Volley di casa nostra acquisendo il 30% della società riminese) con 10 milioni di budget riceve fino a 1,5 milioni di ritorno, realtà come Nilüfer Belediyespor si fermano a 180.000 €, a malapena sufficienti per pagare una straniera di medio livello.

Gli investimenti extra-campo hanno ulteriormente alzato l’asticella. Il Fenerbahçe ha avviato un progetto da 6 milioni per un centro d’allenamento “il più grande d’Europa” e ha siglato con Adidas il contratto definito “il più ricco nella storia dello sport turco”, esteso a calcio, basket, volley e giovanili. Turkish Airlines e Vodafone hanno scelto la pallavolo come strumento di soft power e nation branding, rendendola un asset politico oltre che sportivo.

Il sistema delle polisportive garantisce sinergie commerciali e la possibilità di spalmare i rischi, ma resta legato a doppio filo alla salute del calcio: se i conti delle sezioni principali saltano, a pagare possono essere proprio volley e basket. Non mancano voci critiche: Ataman Güneyligil, ex coach del Galatasaray, ha parlato di “budget cresciuti in modo artificiale, fuori dalla portata di chiunque non abbia un colosso alle spalle”.

Il rischio è che la bolla si sgonfi rapidamente. Oggi il rapporto salari/ricavi dei big club supera l’80%, ben oltre la soglia di sostenibilità. Se sponsor e aziende pubbliche riducessero l’impegno, resterebbero quattro-cinque super club e una base di comparse.

La Turchia ha scelto di fare del volley femminile il proprio biglietto da visita internazionale. I successi ci sono, le stelle anche. Ma la sostenibilità è ancora tutta da dimostrare: senza benzina politica, la “bolla dorata” rischia di spegnersi di colpo.