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Pallavolo Azzurri – Come l’Italia è diventata una superpotenza nel volley

(Giovanni Armanini per fubolitix+diario@substack.com) Sono passati 65 anni da quando l’Unione Sovietica, nel 1960, vinse in contemporanea il campionato mondiale di volley maschile e femminile. Ora tocca a noi. Dopo l’esaltante trionfo delle ragazze di Julio Velasco, poche settimane fa, ci hanno pensato i maschi allenati da Ferdinando De Giorgi a concedere un bis da leggenda e centrare la doppietta che ora fa dell’Italia l’unica nazione ancora esistente a riuscirci.

La pallavolo dovrebbe essere inserita di diritto tra i prodotti Made in Italy che hanno più successo all’estero, e a dirla tutta potrebbe essere un elemento di softpower potentissimo del nostro paese, ad esempio nei rapporti con molte nazioni asiatiche.

I primi tre titoli mondiali degli azzurri erano firmati in panchina da tecnici stranieri: l’argentino Julio Velasco e il compianto brasiliano Bebeto. Il primo tecnico italiano iridato fu Marco Bonitta nel 2002 con la femminile. Poi ci è riuscito De Giorgi nel 2022, e adesso ha concesso il bis. Ma quel che è accaduto a partire dagli anni 90 è ben più profondo e ormai radicatissimo. In questo mondiale c’erano ben 10 tecnici italiani sulle panchine delle 32 nazionali.
In finale il ct bulgaro Gianlorenzo Blengini parlava italiano durante i time out, come fanno molti suoi colleghi. Del resto i pallavolisti studiano l’italiano prima ancora di approdare qui. Se non è dominio culturale questo, cosa lo è?
Ma cosa è accaduto dal 90 ad oggi? Diciamolo a scanso di equivoci: c’entra la nazionale vincente, ma le nazionali sono un fatto generazionale, non le programmi, nelle decadi 2000 e 2010 coi maschi siamo arrivati una sola volta alle semifinali dei mondiali.

L’italiano è diventato lingua ufficiale del volley in primis grazie ai budget che i nostri club da oltre 30 anni mettono in campo attirando i pallavolisti migliori sia a livello maschile che femminile. Se sei forte veramente prima o poi giochi in Italia.

Siamo quelli che spendono di più nella pallavolo e nel frattempo anche gli altri ci imitano, ma sono in ritardo e infatti si rivolgono ai nostri tecnici, nelle nazionali come nei club. Lo fanno i polacchi, i turchi, ma anche i russi: l’anno prossimo il nostro opposto, Yuri Romanò, giocherà in Siberia, non certo perché gli piacciono i posti freschi.

All’inizio ci affidavamo molto anche noi ai tecnici stranieri, uno su tutti, oltre a Velasco e Bebeto, l’americano Doug Beal, che aveva vinto le olimpiadi con gli USA e allenò a Milano. Volevamo imparare dai migliori.
Poi siamo diventati una scuola ed oggi insegniamo.

Purtroppo nello sport non siamo bravissimi a fare lo step che porta le spese a diventare investimenti (gli esempi virtuosi si contano sulle dita di una mano) con effetti patrimoniali e duraturi, ma questo è un altro discorso, anche se, in una disciplina in cui gli USA mancano a livello professionistico, l’occasione sarebbe davvero ghiotta per diventare un modello anche economico.

Ripetiamolo, fuor di metafora. Abbiamo speso più degli altri nel volley in questi 35 anni. Tante società sono comparse e poi scomparse. Le dinamiche sono diverse da quelle del calcio ma la sostanza è la stessa: purtroppo in Italia vediamo lo sport come una spesa. Non come un investimento. E quindi come successo per il calcio italiano negli anni 90 siamo egemoni.
Sto parlando di club, di influenza culturale. La nazionale vivrà delle sue ondate generazionali. Per il resto, invece, dovremo fare i conti coi polacchi e coi turchi che stanno investendo ora anche più di noi. E con i russi che prima o poi torneranno sullo scenario internazionale. Oggi abbiamo un gap rispetto a loro: ma quanto durerà?
E del resto uno dei motivi per cui siamo forti a volley è che giocando su un campo di 18 x 9 più piccolo di quelli di basket e pallamano (quest’ultimo un 40×20 che poche palestre italiane possono vantare), le fatiscenti strutture scolastiche possono facilmente ospitare un campo con una rete a differenza degli altri sport indoor.

L‘Italia si è laureata per la quinta volta nella sua storia campione del mondo, battendo 3-1 la Bulgaria in una finale altalenante, fatta di tanti mini crisi e rimonte perentorie, in cui la superiorità degli azzurri si è manifestata costantemente sia nel breve che alla distanza. Anche quando nel terzo set sono riemersi i bulgari i nostri non si sono scomposti, hanno rifiatato e reagito in maniera furente dominando (25-10) il set decisivo, centrando così uno storico quinto titolo mondiale a 35 anni dalla prima volta nel 1990 a Rio de Janeiro.
Ferdinando De Giorgi, ct di questa nazionale, è il pentacampione per eccellenza, lui c’era sempre nelle 5 occasioni in cui gli azzurri sono diventati campioni del mondo: le prime 3 da palleggiatore di riserva, le altre 2 da ct. E dire che quando venne chiamato dopo il disastro olimpico a Tokyo l’obiettivo era quello di raccogliere i cocci. Lui li ha trasformati in oro.